Buen Camino”

 

 

9-26  Luglio  2007

Loredana  &  Luciana

 

 

Perché quest’ansia,

 questo nervosismo che non mi consente di concentrarmi su niente ?

Sono emozionata come non mai,

 consapevole probabilmente che quello che sto per fare

mi “toccherà” qualche corda .

Ad agitarmi un po’ anche “l’incognita Luciana”

 cara collega che stimo e di cui mi fido ma che non posso dire di conoscere benissimo.

Per la prima volta da che mi conosco

 passerò con una donna così tanto tempo.

E poi la sensazione di fare qualcosa di straordinario che mi trasmette la gente, amici e conoscenti con cui parlo e che vogliono sapere come e cosa invidiandomi benevolmente e ascoltandomi con ammirazione….

Mi sento sospinta da uno strano consenso,

sincero e dolce.

 

 

 

Lunedì 9 luglio: Belluno - Pamplona   

 

  

          

Partiamo finalmente.

Alle 6.00, accompagnata da Franz, sono a La Secca e salgosul treno dove già si è insediata Luciana partita da Belluno. E’bella, luminosa, entusiasta come mi sento io. Ridiamo interrogandoci e assicurandoci reciprocamente di non aver dimenticato nulla di importante. Luciana passa e ripassa le tappe che già conosce a memoria e di cui io non so niente perché fino tre giorni fa ero convinta di andare in bicicletta da Mongenèvre a Roma con le due simpatiche amiche e colleghe Carla Meneghin e Carla De Cian! Ma penso che avrò tempo di impararle anch’io e guardo dal finestrino cercando di contenere il mio entusiasmo.

         Comincio ad occuparmi invece della notte che dovremo trascorrere a Pamplona in piena Fiesta patronale de San Firmìn,  quella dei tori per strada, che non ci consentirà di trovare  da dormire da nessuna parte perché non abbiamo prenotato e perché ci arriveremo alle 23.30. Luciana è tranquilla e pensa che una notte ai giardini con stuoia e sacco a pelo non sia una tragedia. Ma io che non la penso proprio così, forse un po’ più consapevole di quello che ci aspetterà in seguito, comincio a rimurginare e a pentirmi di non aver provveduto da casa. Cerco mio cugino Fabio - che cerca la sua amica Charo di Pamplona - che dal mare dove si trova vicino a Barcellona con la famiglia cerca la sua amica Marisa a Pamplona- che dovrebbe venire a cercarci alla stazione dei pullman alle 22.30 per condurci a dormire a casa di Charo. Per il Cammino abbiamo esattamente 15 giorni da sfruttare perché l‘aereo per il rientro a Saragozza è prenotato per il 26. Durante il viaggio cerchiamo di capire che cosa fare, se solo la prima metà del Cammino, se inserirci ad un certo punto per concludere a Santiago o se partire da Saint Jean e raggiungere Santiago alternando marcia, autostop e pullman. Scartiamo subito le prime due soluzioni che ci lascerebbero il rammarico di non sapere come sia la parte “non camminata” e ragioniamo sulla terza che ci lascerà lo stesso con un vuoto ma che se non altro ci consentirà di ritornare con un’ idea completa dell’intero percorso. Stabiliamo quindi di seguire in linea di massima i suggerimenti di Carla Meneghin che l’ha fatto sia a piedi che in bici e dell’amico Oriano che l’ha percorso, come si dovrebbe, in un mese l’anno scorso. Salteremo le tappe della Meseta più monotone e meno interessanti e per il resto decideremo di giorno in giorno.

         A Mestre saliamo sul treno per Milano –un’oretta di attesa con breve giretto nei dintorni della Stazione centrale - poi su quello per Bergamo. Autobus, aeroporto, imbarco, attesa e poi via …a Saragozza.

         Il primo impatto con la Spagna è decisamente felice. Da un’informazione chiesta all’allegro autista che ci sta portando in centro, in uno spagnolo inventato lì per lì, è nato un dialogo talmente coinvolgente da indurlo, scaricati tutti i passeggeri al capolinea, ad accompagnarci fuori programma direttamente davanti alla nuova stazione, facendoci risparmiare un sacco di fatica e consentendoci di approfittare subito dell’ultimo pullman per Pamplona.

         Nel frattempo le trattative telefoniche per la notte proseguono e dopo una decina di telefonate e sms, riesco a mettermi in contatto con Marisa che in mezzo ad una folla eccitata di gente vestita tutta di bianco e rosso - la divisa della festa- ci abbraccia come se fossimo sorelle!! Con Marisa simpatica e buona ragazzotta  ablante una pochito de italiano”, andiamo a mangiare nel ristorantino della fiesta. Il primo approccio con la cucina spagnola è ottimo: uno spiedino imbevuto in una salsetta dal sapore che mi riporta al mojo canario e un’ottima bruschettona ci soddisfano  pienamente; non così il conto che - alla faccia della sagra- è molto più alto del previsto. In Spagna nelle sagre triplicano i prezzi e per dir la verità Marisa aveva cercato di dissuaderci ma abbiamo insistito e voilà: 52 €  andati.

         Prima di addormentarmi a casa di Charo cerco di immaginare questa donna che ho conosciuto per un attimo una ventina d’anni fa a Tambre e con la quale oggi ho parlato a lungo come se la conoscessi da sempre. Sto per addormentarmi a Pamplona in Spagna, nella sua bella casa, sul letto di uno dei suoi tre figli, con Luciana e Marisa nelle altre due camere….boh.

         Comunque sia -concludo- l’importante è essere qui, avvolta nel mio sacco a pelo a casa di una sconosciuta piuttosto che nello stesso sacco a pelo sotto una pianta del giardino pubblico alla mercè dei tori e dei toreri agitati da San Firmìn!

 

 

 

 freccia Martedi 10 : Pamplona- Saint Jean Pied de Port- Orisson

 

 

         Alle dieci Marisa ci consacra al pullman per Roncisvalle e noi felici cominciamo a salire le pendici pirenaiche osservando il percorso lungo il quale domani o al massimo domani l’altro scenderemo a piedi, come i pellegrini che cominciamo ad intravedere lungo strada .

La giornata è bella e la temperatura è ideale.

         A Roncisvalle capolinea del pullman, abbiamo il tempo per fare una piccola colazione e ripartire con un taxi-navetta che condividiamo con un altro pellegrino e che ci porterà a Saint Jean Pied de Port in Francia, luogo di partenza del Cammino. Ci chiediamo come mai con tutta questa frequentazione  Spagna e Francia non abbiano ancora provveduto ad organizzare una diretta pullman Pamplona- S.Jean . Che ci vuole?

         Alle 13 ci siamo!!! Che bello sto paese. Che emozione : il centro storico, i fiori, i simboli del Cammino ad ogni porta, e ad ogni angolo, i colori, l’aria, l’atmosfera. Tutto ci fa sentire protagoniste e tutto ci fa pensare che sarà bello. Andiamo all’ufficio di accoglienza a farci fare il primo timbro sulla credenziale e ad informarci su come muoverci lungo il percorso. Divorata un’ ottima baguette stracarica del ben di dio e una fetta di buon dolce alle pere ci incamminiamo. L’emozione è grande.

La stretta strada da percorrere è ben indicata dalle frecce gialle, asfaltata e si alza subito in quota tra grandi e ordinati pascoli controllati da aziende di notevoli dimensioni. Siamo seguite e anticipate da altri pellegrini con i quali scambiamo volentieri un saluto e qualche frase. Cominciamo ad “entrare” nell’atmosfera, a respirarne lo spirito…

         Scambiandoci le prime impressioni, dopo una decina di km, verso le 18.00  raggiungiamo l’AbergueOrisson” dove decidiamo di fermarci a dormire sia perché non è il caso di esagerare il primo giorno e sia perché il tempo si sta guastando. Una doccia calda, un buon letto in una camerata nella quale dormiamo in cinque e una cena stupenda: ci sbafiamo quattro abbondanti dosi a testa di una minestra di verdura paradisiaca e un doppio di carne di montone con verdure accompagnata da un vinello che non mi fa rimpiangere quello di casa . Invidio Luciana che riesce a comunicare benissimo in francese e benino in inglese mentre io mi devo accontentare di comunicare con Albert  gioviale austriaco arrivato bagnato fradicio a cena quasi finita ma che -fortuna mia- parla un pizzico  di italiano. Dopodiché tutti in branda, saranno le 20.00!!!

Solo quando sto male vado a letto così presto.

 


 

 freccia Mercoledì 11 :  Orisson - Zubiri   

 

                                           

        

Alle 8.00 ci incamminiamo per Roncisvalle. Gli altri sono quasitutti partiti prima.Ho la piacevole impressione che Lucianasvegliatasi ieri mattina prima di me, non abbia intenzione di stressarmi per partire tra i primi. Procediamo ognuna per conto nostro stamattina;  perché tra i pascoli del cielo, una schiarita, una pioggerella e una nuvola, greggi, panorami, mandrie, cavalli, faggete, fiori e poiane, non c’è alcun bisogno di parlare… ma di rimanere in silenzio…e il silenzio è durato così tanto da farci perdere il contatto fra noi. Pazzesco: sono davanti alei di una mezz’ora circa, arrivo sul valico – nebbiolina a tratti più fitta – decido di aspettarla perché c’è un bivio, e nel frattempo decido anche di soddisfare uno stimolo di pancia allontanandomi un po’ senza perdere d’occhio il varco. Rientro in posizione strategica, aspetto ancora, chiedoalle altre pellegrine in transito se ricordano di averla vista, aspetto ancora, resto sola….e dopo mezz’ora mi avvio perché il freddo comincia ad impietrirmi           Ma dove c… sarà: davanti, dietro sopra, sotto…Luciana dove sei? Il cellulare non riceve.Decido di scendere convinta che per avere altra compagnia ormai mi toccherebbe aspettare domani mattina. Seguendo le indicazioni, per fortuna molto frequenti, scendo i Pirenei in perfetta solitudine tra splendidi faggi secolari e radure meravigliose, con il tempo che va migliorando, chiedendomi come sia potuto accadere che ci siamo perse ancora! ( “l’ancora” si riferisce ad un altro ridicolo episodio che ci siamo create qualche tempo fa in Alpago)  Finalmente risponde al mio accorato sms  (onore a chi ha inventato il cellulare) e mi scrive che mi sta aspettando davanti alla collegiata di Roncisvalle. Ma guarda un po’:  ero davanti a lei e arriva giù mezz’ora prima. E’ là che mi aspetta e io sono qua da sola senza sapere esattamente dove sono quanto manca. Non so neppure se arriverò mai lì.

         E invece dopo una 20ina di minuti la raggiungo: che scaricata funesta quella sui Pirenei!

 

         Una scaricata memorabile quasi come il passaggio di Carlo Magno!   Ridendo sulla sua capacità di trasformarsi in fantasma al momento giusto e alla mia capacità di estraniarmi in certi momenti, andiamo a “timbrare il cartellino” e a bere qualcosa in un bar vicino. Troviamo Arnold uno dei belgi che ha dormito all’Orisson e che scambia volentieri qualche informazione con noi. Dopo aver dato un’occhiata alla Collegiata - la chiesa purtroppo è chiusa – e aver scattato un paio di foto disperate sotto il cartellone “Santiago de Compostela 790 km” proseguiamo.

          Cambio gli scarponcini troppo caldi, con sandali e calzini, come consigliato da Carla per evitare guai ai piedi. L’ambiente è molto bello e pulito, il pendio più dolce e la ritrovata compagnia ci rimettono subito di buon umore. Un umore che diventa ottimo affiancando Albert, l’amico austriaco della sera prima con il quale marciamo cantando San Martino Campanaro, Bella Ciao, Stelutis Alpinis,  marciando e su filastrocche tedesche che ci insegna e cercando di capirci rigirando la decina di parole che avevamo a disposizione in austriaco, italiano e inglese.

         Dopo qualche km però, stravolto per la fatica (caratteristico austriaco con pancetta e fisionomia da octoberfest) praticamente ci congeda ritirandosi tra i cespugli “perché - ci spiega - voi siete troppo steady,  io vado più piano, ci vediamo ciao! ” Più visto, forse è ancora per strada.

         Arriviamo verso le 18.30 a Zubiri , abbastanza stanche perché i km. percorsi oggi sono 48. L’edificio che ci ospita è un grande casermone con ampie camerate, servizi, lavatoio e spazio sufficiente per un centinaio di pellegrini, dove le nostre brande si confondono tra i tanti letti a castello, quasi tutti occupati da chi già sta ronfando anche rumorosamente, oppure da zaini ed effetti personali sparsi. Doccia e poi cena nell’unica bettoletta  del posto la cui distanza ( 500mt circa) ci appare più lunga di quella superata per scendere dai monti. Non è la cena della sera prima ma mangiamo volentieri. La bella e gioviale tedesca che si aggrega a noi tenta conversare in tedesco e in inglese ; ma l’impresa è molto faticosa per tutte e tre e al rientro si eclissa tra i tanti che non rivediamo più. Anche perché il giorno dopo …

 

  Giovedì 12 : Zubiri –Estella 

 

…. abbandonata la branda alle 7.30

decidiamo di esperimentare subito il ditone per by-passare  Pamplona in piena festa e riprendere il Cammino a Puente la Reina, già in Navarra. Una colpo di schiappa fenomenale induce un giovane maschio spagnolo a bloccare il furgoncino che guida portandoci proprio a destinazione dove lo

aspettano al lavoro. Grande e dolce colazione in una pasticceria del centro e poi via lungo la careterìta che porta dritta al famoso Puente. Che spettacolo.

        

         Sono le 8.00: la giornata è molto bella e la temperatura per camminare è buona. Cominciamo ad avvertire in questo secondo giorno che durante il Cammino ci si trova e ci si lascia con una fluidità straordinaria. Si parla con chiunque come se ci si conoscesse da sempre e con altrettanta facilità ci si saluta magari per rincontrarci più avanti.

         Troviamo una coppia di giovani emiliani in bicicletta, una bella ragazza indiana che cammina vestita in abito beige e cappello a larghe falde in tinta, un’altra bresciana in bici che alla nostra curiosità di sapere come mai fosse senza bagaglio ci risponde di aver pianificato tutto da casa con pernotti in albergo, compresa la spedizione della roba e di acquistare eventualmente quello che le dovesse mancare  lungo il percorso, abbandonando quello che non le servisse più.  Timbriamo nell’albergue in fondo alla via e proseguiamo.

         Comincio ad avvertire un fastidio sospetto al piede destro che mi preoccupa perché si  sta formando un vescicone dovuto all’uso troppo prolungato degli scarponcini il giorno prima, e ho paura che stia affiorando anche un  vecchio problema di micosi. Se si espande sono spacciata.

         Ma intanto andiamo avanti sotto un sole cocente, non c’è vento e si cammina per un lungo   tratto tra i vigneti della Roja e meravigliose distese di grano che ogni tanto mi diverto a fotografare. Attraversiamo il bel paese di Chiraqui dove timbriamo la nostra credenziale. Lungo il percorso timbriamo anche a Lorca e decidiamo di proseguire fino ad Estella che sappiamo essere una bella cittadina.     L’approccio al paese non è certo dei migliori: si arriva ad Estella abbassandosi un po’ di quota per attraversare un avvallamento in cui quello che si incontra dev’essere un depuratore o comunque una brutta struttura che emette un fetore irrespirabile. Uno schifo, brutto anche il cemento su cui si cammina sull’ultimo tratto di strada prima di arrivare davanti al Santo Sepolcro, emblema della cittadina.  Chiuso.

Si arriva nel centro storico che si presenta bene, curato e ancora in via di recupero Anche la bella cattedrale medievale che domina la piazzetta è chiusa. Cerchiamo un Albergue e purtroppo andiamo a finire probabilmente nel peggiore. L’hostalero ci accoglie simpaticamente ma la camerata stipata di brande poco raccomandabili e i servizi igienici piccoli, mal dislocati e sporchi ci lasciano un po’ interdette. Ma la voglia di una doccia e di un po’ di descanso è talmente tanta che decidiamo di non vedere e di non annusare nulla. Mi pento amaramente di non aver messo nello zaino le ciabatte di gomma che a casa mi supplicavano di entrare nello zaino insieme a tutto il resto e per evitare di mettere i piedi nella zozzeria uso un grande sacchetto di plastica.

         Cercando più tardi un negozio per comprare le ciabatte scopro la parte più viva della città che sta oltre il ponte, dall’altra parte del fiumicello. Quella che vedo è proprio una bella cittadina piena di gente e di attività commerciali. Trovo le ciabatte e chiamo Luciana che nel frattempo è riuscita a visitare l’austera cattedrale. Qualche acquisto e cerchiamo il ristorante consigliato per cenare. Al “Casanova” cucina discreta, recuperiamo l’energia per rientrare all’Albergue ma l’infezione al piede mi preoccupa moltissimo e siamo piuttosto provate.

 

 

 

 

 

   Venerdì 13 :  Estella - Logrono  - Granon  

 

Alle 5.00 comincia il trambusto delle partenze che per noi inizia alle 6.00 ma alle 6.30 ci dicono che la colazione non ce la danno più: troppo tardi.

Bastardi: brutti, sporchi e anche cattivi! Ce ne andiamo indignate e attraversando di nuovo il centro lungo il percorso indicato dalle frecce, alla vista di una pasticceria- caffetteria-gelateria-panetteria-frutteria sotto al portico della piazza centrale ringraziamo il cielo di non aver potuto far colazione in quello schifo di posto perché avremo sicuramente perso l’occasione di strafogarci nel ben di dio che ci si parava davanti. Mezz’ora per farci tornare il buon umore e per ripartire. Andiamo avanti ancora sotto il sole cocente in un ambiente gradevole che presenta le stesse caratteristiche di quello già attraversato: distese di bassi vigneti e di campi di grano immensi, sole e tanto caldo . Stringo i denti dal fastidio ma riesco a proseguire. Visitiamo volentieri Najera  interessante cittadina addossata ad una parete di roccia rossa dove cerchiamo un ufficio informazioni per timbrare e tentare di scaricare su un cd la prima serie di foto.          L’ufficio lo troviamo, non scarichiamo foto perchè non sono attrezzati per farlo ma qualcos’altro sì, negli ampi e attrezzati servizi igienici del provvidenziale ufficio! A poca distanza un bell’Albergue del pellegrino con piscina pubblica ci attraggono maledettamente ma mi accontento di un pediluvio nella fuente mentre Luciana conversa con l’ennesima pellegrina francese che per problemi ai piedi si è dovuta fermare. Nel frattempo rifletto sul fatto che la maggior parte dei pellegrini che fin’ora abbiamo trovato sono francesi o belgi e penso che siano un popolo di camminatori.  Finita la ricreazione zaino in spalla e adelante      per raggiungere Azofra.        Le frecce ci mandano direttamente verso un edificio di accoglienza peregrina nuovo e noi entriamo. Non per dormire perché è presto per fermarsi, ma per riposare un po’ mangiando quello che abbiamo acquistato durante il percorso. Nella piccola piscinetta con acqua zampillante e fresca al centro dell’accogliente corte immergiamo le nostre gambe e il sollievo è grande perché oggi fa davvero caldo. Ci divertiamo ad osservare una famiglia di nordici mamma, papà e due bambini piccoli trasportati in un carrozzina doppia molto simpatica, attrezzata con due seggiolini piccoli e affiancati e con due zainetti in miniatura.      Chissà da dove sono partiti e fin dove arriveranno. E commentiamo sulle nostre giovani mamme italiane sempre ansiose e preoccupate per un piccolo disagio dei loro figli. Timbriamo la nostra credenziale e proseguiamo per altri 15 km dopodiché provate, decidiamo di raggiungere Santo Domingo de la Calzada in pullman.

         La città meriterebbe una visita perché il centro storico e soprattutto la chiesa sono dedicati al Santo riuscito a risuscitare un gallo per salvare la città; ma io, non potendo contare sui miracoli, per il momento devo fermarmi perché il problema al piede si va acutizzando. Anche Luciana, un po’ perché stanca un po’ per non lasciarmi sola, anche se con rammarico, rimane inchiodata alla panchina e insieme aspettiamo un altro pullman per guadagnare ancora qualche km comodamente sedute. Sto male, ho una voglia matta di proseguire e ho sto problema che mi attanaglia. Sto rischiando di compromettere questa splendida avventura per un vecchio problema irrisolto di micosi e sto rovinando la storia anche a lei che molto delicatamente mi lascia tranquilla a decidere senza condizionamenti. Se domani peggioro faccio autostop e torno indietro da sola!

         Salutiamo Santo Domingo galli e galline e a 6 km da Granon scendiamo dal pullman per arrivare alla meta a piedi.

         Grande e piacevole la sorpresa di trovare posto nel famoso Monastero di cui tutti quelli che vi hanno soggiornato parlano bene !! Una storica struttura medievale in grado di accogliere una cinquantina di persone in un ambiente sereno e familiare dove riescono a sentirsi davvero insieme. Prendiamo posto sul materassino del soppalco in legno che condividiamo con altre otto persone mentre gli altri dormono  al piano di sotto nell’altra stanza, e dopo la salutare doccia ci sediamo a tavola.

         La cena dopo la preghiera è ottima come la compagnia. Mentre io scendo nel giardinetto a chiacchierare con una signora belga, una giovane francese e un artista francese Luciana riesce a scovare il pertugio che mette in comunicazione il monastero dalla Chiesa e partecipa ad un rito molto suggestivo.

         Una preghiera collettiva recitata dagli scranni del coro dove ognuno nella propria lingua a turno esprime il proprio desiderio o pensiero passandosi di mano in mano una simbolica candela accesa. La belga raccontandomi le sue traversie familiari in francese ha voluto aiutarmi dandomi una potente pomata per il mio piede infiammato.

         La palpebra in calo ci fa ben presto sognare il soppalco dove dormiamo sufficientemente bene per affrontare un’altra avventura.

 

 

 

 

 

 

Sabato 14 : GragnonBelorado - Villafranca

 

         Colazione molto buona e molto dolce al monastero e via, destinazione Villafranca. Appena fuori Granon da una piazzola all’uscita del paese lo spettacolo che ci si para davanti mozza veramente il fiato. L’aria è tersa e l’ondulazione del territorio che si estende davanti come un tappeto a perdita d’occhio dove si alternano aree regolari di verdi e di giallo oro merita un’attenzione particolare. Non c’è nulla che disturba questo paesaggio stupendo nel quale ci immergiamo felici.

         E’divertente e sorprendente come lungo il cammino che a tratti affianca la superstrada, molti camionisti attraggano la nostra attenzione suonando il clacson e in velocità con il braccio fuori dal finestrino, ci salutino. La sensazione di essere osservati e ben accolti è forte e incoraggiante.

         Tra grano e vigneti raggiungiamo Belorado un’altra bella cittadina dove sostiamo un po’ e dove ci divertiamo a cercare di capire dalle informazioni della gente quale sia l’ora giusta e il posto giusto per prendere un pullman per Villafranca, base di partenza per i Montes de Oca. Verso le 15.00, dopo un’attenta valutazione delle varie versioni, ci riusciamo.

         A Villafranca ci siamo verso le 15.30 e l’Albergue che ci ospita è grande, gestito da donne, pulito e ben organizzato. Dopo il rituale della doccia e del bucato trascorriamo il pomeriggio sedute davanti al bar-tienda dove facciamo un po’ di spesa e soprattutto dove il mio piede martoriato riposa, insieme all’altro.

         Nella nostra camerata troviamo anche le belghe della pomata e la francesina un po’ sconsolata perché la sua tendinite sta peggiorando. Luciana si mette alla prova cercando di resistere alla sopportazione di quelli che definisce “spazi bianchi” ovvero tempi morti nei quali bisogna solo lasciarsi andare e trasportare passivamente dal flusso, spazi per me piacevolissimi, per lei drammatici. E confrontandoci su questi diversi sentori personali dopo quattro ore ci autotrasportiamo in branda non senza aver fagocitato con estremo piacere un’insalatona all’Albergue a base di tonno e pomodoro comprati nella tienda.

 

 


Domenica 15 : Villafranca - Montes de Oca

                  Saint Jouan de Ortega - Atapuerca

                 Burgos - Carrion de Los Condes  

 

 

La levataccia più bonoriva del nostro Cammino.

E' ancora buio e tutti sono già attivi.

Che cosa ci aspetta che sono tutti così nervosi stamattina? Non spreco tanta energia a cercare risposte e per simpatia verso tutti in pochi minuti anch’io come un razzo vado a lavarmi e quasi inciampo su una foca di colore nero lunga circa due metri, distesa sotto ai lavandini. Si tratta di un essere di cui non si riesce a identificare il sesso perché è completamente isolato dentro al sacco, probabilmente arrivato lì troppo tardi per trovare una branda libera e troppo stanco per cercare una sistemazione più dignitosa giù sul grande cortile. Recupero mutande e calzini, mi impomato per bene il piede e ci accodiamo al fiume umano che sta per risalire il pendio.

         Il sorgere del sole sui Monti de Oca non lo potremo mai dimenticare. Se lo spettacolo delle prime luci dell’alba è ovunque un’emozione, i cromatismi di quella particolare zona sono unici. Indimenticabile il primo sole che si confonde con il rosso della terra e contrasta con il verde della rigogliosa vegetazione circostante sullo sfondo di un cielo dalle mille sfumature di blu e rosa. Raggiungiamo un belvedere dove un plastico ci informa di essere a 2000 mt di quota e che le dolci colline ricoperte di boschi in lontananza sono in realtà montagne alte 2200-2400 mt.

         Luciana è fortissima e non si lamenta mai anche se i tratti del viso cominciano a denunciare qualche defaiance. Va e viene, si avvicina e si allontana; quando si avvicina discutiamo animatamente del nostro modo di essere o di qualcuno che conosciamo e quando si allontana ci perdiamo nei nostri pensieri con la massima libertà e rispetto. Fantastica.

Ma dove si è nascosta fino a ieri ?

         A Saint Juan de Ortega dopo aver infilato i piedi nell’acqua fresca della fuente entriamo nella bella Iglesia  dedicata al Santo che visitiamo con calma chiedendoci come possa succedere che in certi posti così ameni a qualcuno venga voglia di costruire chiese così imponenti. Non una chiesetta a misura locale ma una vera cattedrale. Intorno il nulla, quattro case a destra e quattro a sinistra che vivono più che sull’attività ecclesiale vera e propria ridotta probabilmente alla ricorrenza del Santo - sul passaggio dei pellegrini e basta!

         Timbriamo la credenziale suonando al campanello di un portone da cui esce una donna trafelata con i guanti di gomma e grembiule. Le abbiamo interrotto le pulizie povera ! Ma ci accoglie gentilmente e ci regala anche un cerotto per le vesciche, uno di quelli belli che costano un sacco di soldi e che io utilizzo subito per sostituire quello che sulla vescica, con i frequenti bagni nelle fuentes e le docce pomeridiane, ho già distrutto.I piedi? Ormai il peggio dev’essere passato perché il malleolo destro dal rosso sangue di ieri sta schiarendo leggermente. Il dolore mi attanaglia ancora ma sono fiduciosa.

Ad Atapuerca,il famoso sito archeologico che meriterebbe una visita approfondita, a dare forfai è Luciana che evidentemente ha raggiunto l’apice. D’accordo di evitare i 20 km a piedi e di cercare di raggiungere Burgos in autostop mettiamo in azione il nostro pollicione e zac ….le nostre chiappe si adagiano in una comoda poltroncina un’altra volta. Il nostro amico è un meccanico di aerei  militari che avendo lavorato in Puglia per diverso tempo parla bene in italiano. Ci scarica  dritto a Burgos in centro città dove chiedendoci come mai i negozi siano tutti chiusi scopriamo con stupore che è domenica.

         Ci  dirigiamo direttamente verso la splendida Cattedrale che visitiamo subito e abbastanza bene. Ci giriamo intorno un bel po’scattando la classica foto accanto al pellegrino bronzeo seduto sulla panchina della piazza e seguendo la freccia ci dirigiamo lungo la via centrale alla ricerca dell’Albergue dove pensiamo di pernottare.

         L’Albergue apre alle 15.00 e sono le 14.00. La fila di zaini a terra lasciati lì da chi ci precede nell’attesa ci scoraggia e ci suggerisce di andarcene via dopo aver timbrato. Ci sediamo al bar di fronte dove mangiamo un buon panino insieme a due ragazze mai viste e alla francesina conosciuta a Granon rivista a Villafranca e costretta per la tendinite a rinunciare e a ritornare a casa. Era disperata.

          L’ambiente cittadino pur bello e sicuramente interessante, quasi ci infastidisce e alle 18.00 dopo aver dato un’occhiata al cuore della città saliamo sul pulman e ci portiamo ancora in campagna con l’idea di raggiungere Carrion de los Condes.

         Arriviamo verso le 19.00 e ci rendiamo conto subito che gli Albergue sono tutti pieni. Troviamo posto in un hostal privato dove dormiamo molto bene e a buon prezzo in una camera del sottotetto condivisa con un altro gentile pellegrino. Pagato un po’ di più ma ne valeva la pena:questo è un albergo. La cena nel ristorante vicino è buona e alle 22.00 affondiamo nei nostri rispettivi sacchi a pelo.

 

 

  Lunedì 16 :  Carrillon de los Condes – Leon- Villar de Mazarife

           

 

La colazione la mattina seguente la consumiamo in un bar dove la puzza del fumo alla quale non siamo più abituati ci nausea un po’. Il tempo è grigio e tira un’arietta fresca che mi preoccupa perchè pensando al sole e al caldo della Spagna non ho portato nulla di veramente caldo per proteggermi. Per guadagnare 90 km equivalenti a tre giorni di marcia dobbiamo sacrificare il tratto della Meseta come consigliato dagli amici e cercare di raggiungere al più presto Leon. Un super passaggio ottenuto grazie ad un altro super colpo di chiappa ci porta in un’ora proprio in centro città.  Del passaggio approfitta anche un altro pellegrino spagnolo con problema alle estremità inferiori,  il quale, vista la frenata dell’auto all’incrocio dove ci siamo piazzate si materializza da un cespuglio pregando il nostro autista di non lasciarlo lì. E’ va bene perché durante il lungo percorso riesce a tenere conversazione con lui liberandoci dall’impegno. Leon è una bella città da visitare con calma, quella calma che non abbiamo perciò puntiamo subito sulla Cattedrale. Una splendida cattedrale che ci appare ancora più suggestiva di quella di Burgos forse per l’atmosfera più misteriosa accentuata dai vivacissimi colori delle enormi vetrate che risaltano di più in un interno poco illuminato.

         Il tempo sta peggiorando e comincia a piovigginare perciò decidiamo di andare a verificare le proposte di un invitante pub a pochi passi dalla cattedrale. Un ottimo spuntino ascoltando la splendida voce di Diane Croll prima di dare un’occhiata al centro storico di questa bella città dove troviamo l’ufficio di accoglienza per il “cugno”. Un’occhiata all’esterno della casa di Goya e un paio di foto con  l’artista di bronzo seduto in panchina e via seguendo le frecce verso la periferia. Ci affianca una simpatica e gentile signora che ci accompagna per un po’ dandoci delle utili informazioni e conversando con noi fino allo storico Parador San Marco primo ospedale del pellegrino ristrutturato e trasformato in Hotel a 5 stelle. Molto interessante.

         La periferia da lì in poi è vasta e l’asfalto non è per nulla piacevole da percorrere ma io sono felice perché il piede sta riacquistando il suo colore naturale e il fastidio sta diminuendo. Grazie Santiago.

         Mancano solo 22 km per raggiungere Villar de Mazarife e li facciamo tutti passo dopo passo sperando di trovare posto nell’Albergue di Pepe indicatoci come meta da preferire. Verso le 18.00 ci siamo.  

Ad accoglierci all’entrata del paese l’immagine di S.Antonio da Padova e l’Albergue intitolato proprio al nostro Santo. Un edificio nuovo, luminoso realizzato da  Pepe che lo gestisce con un amico, per  tener fede al voto fatto a Santiago che lo ha guarito per ben due volte da una grave malattia.

         Siamo una decina, ceniamo tutti insieme a base di paella per la verità un po’ bruciacchiata, parliamo italiano perché siamo in maggioranza e brindiamo con la Queimada bevanda a base di grappa, zucchero e limone incendiata e mescolata in una terrina di terracotta e condita con una preghiera propiziatoria e scaccia demoni. L’amico di Pepe mi invita per il prossimo anno ad utilizzare la sua casa di Irun come base di partenza per fare il Camino del Norte che mi illustra con piacere

sostenendo che dopo aver fatto questo bisogna fare quell’altro, meno famoso, meno organizzato ma a suo parere ancora più bello sotto il profilo ambientale. A dir la verità l’idea non mi dispiace e prendo volentieri l’indirizzo... non si sa mai questi Cammini…..dove ti portano

 

     

 

Martedì 17: Villar de Mazarife - Hospital de Orbigo – Astorga 

 

 

         Ce l’aveva preannunciato l’amico di Pepe che il Camino per Astorga sarebbe stato lungo,  perfettamente dritto e per questo noioso e così è stato. Però il passaggio sull’imponente opera romana di Paso Honroso a Hospital de Orbigo fa dimenticare la fatica e anche i momenti di noia. Ci soffermiamo volentieri ad ammirare questa opera faraonica e sinuosa costruita in mezzo ad una campagna sterminata. Un’opera all’apparenza eccessiva per dimensioni ma allora evidentemente adeguata e di importanza strategica.

         Per un lungo tratto proseguiamo parallelamente alla strada e la cosa non ci piace. A nostro parere il percorso potrebbe essere ancora più bello e più sicuro se si evitassero questi bruschi impatti con “l’inciviltà” delle auto dei camion e delle loro puzze e rumori grazie a qualche piccola variante.

         Sono le 17.45 quando dall’alto di una collina, quella di San Justo de la Vega, scorgiamo finalmente le guglie della grande Cattedrale di Astorga.  Ma di km ne mancano ancora parecchi. L’infiammazione alla caviglia non mi disturba più di tanto ma di disturbo ce n’è un altro in arrivo che mi preoccupa di nuovo: un dolore muscolare all’anca destra. Cristo: il passo comincia ad accorciarsi e l’appoggio è dolente. Devo addirittura forzare sui bastoncini per alleviare il fastidio. Boh, che succede? Mai avuto problemi muscolari simili, dovevo proprio venire qua per scatenarli.          Andiamo avanti sognando Astorga e per dir la verità siamo proprio felici di arrivarci.          Anche l’avvicinamento a questa bella città di origine romana ,ricca di interessanti reperti archeologici, non è però dei migliori: si scende dalla bella collinetta curata e dominata da una Croce di notevoli dimensioni e quindi senza dubbio mèta di pellegrinaggio, e si attraversa una periferia sporca, puzzolente e decisamente contrastante con tutto il resto.

Risaliamo il pendio che ci porta nella parte antica costruita sulla sommità di una collina e ci riposiamo, sfatte, sulla panchina sotto un morèr (gelso) a pochi metri dai resti di una villa romana a cui dedichiamo soltanto uno sguardo fugace. Ci trasciniamo all’interno della città e cerchiamo immediatamente l’Albergue che troviamo proprio nei pressi nella Cattedrale. Il bel palazzo signorile riconvertito  a questa nuova funzione di accoglienza dei peregrini la sua parte la fa; non così il gestore che a nostro parere dovrebbe cercarsi un altro lavoro perché risponde a monosillabi e ha un’aria da impallinato. Le camere sono stipate di letti, l’igiene lascia molto a desiderare e la difficoltà di muoversi tra la foresta di brande zaini scarpe, sacchetti pieni di roba, bastoni, e pellegrini è davvero tanta. Una buona doccia ci rimette un po’ in sesto e ci ritorna la voglia di uscire se non altro per visitare la Cattedrale. Un quarto d’ora di santità per immagazzinare immagini e respirarne l’atmosfera magica, qualche foto e poi fuori dai piedi perché si chiude! Con gli orari non c’è pellegrino che tenga. Non ci resta che cercare un buon ristorantino. Lo troviamo a pochi passi e la cenetta è davvero buona. Alle 22.00 siamo in branda ma la notte….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

   Mercoledì 18 : Astorga- Foncebadon- Cruz de fero- Molinaseca

 

 

 

...e soprattutto la mattina è infernale:

un elefante polacco femmina sotto alle nostre due postazioni ci ha liberato della sua presenza dopo un paio d’ore di tortura cinese durante le quali dal profondo dei nostri sacchi a pelo abbiamo cercato di immaginare se un terremoto fosse più o meno sopportabile. Non la smetteva più di accartocciare le sue cose rigirando una plastica che tra le cinque e le sei di mattina non è proprio la sveglia con cui uno sogna di aprire gli occhi . Dopo la sua dipartita siamo rimasti in sei a goderci un’altra oretta di silente pace.

         La colazione dal “muso duro” di sotto che prima di darti la tazza di caffè ti chiede i soldi, ci ha comunque saziato. Ma la mia coxo-femorale destra mi sta mettendo a dura prova. La mattina è bella, fresca e per limitare i danni decidiamo di fare un po’ di autostop evitando qualche km di asfalto. In periferia ci carica una signora che ci risparmia circa 5 km a piedi e ci lascia all’inizio della salita che porta a Santa Catalina de Somoza per proseguire verso Rabanal del Camino. Il percorso è molto bello perché ci si alza in quota dolcemente attraversando dei borghi recuperati molto bene. Non mancano mai le cicogne appollaiate su questi particolarissimi campanili le cui campane sono raggiungibili per essere suonate solo da un ballatoio a cui si accede attraverso una scala esterna.

         A Rabanal del Camino però non ne posso più. Ci fermiamo sul primo bar del borgo, attiguo ad un Albergue nuovo che visito grazie alla gentilezza della gestora e dove ho tanta voglia di fermarmi. Ma è solo mezzogiorno e la Cruz de fero oggi ci aspetta.    Non so come stare seduta dal dolore e mi contorco sulla sedia ma riesco ugualmente a gustare una meravigliosa insalata di tonno e a rimettermi dopo un’oretta circa, ancora in marcia nel tentativo di guadagnare qualche km prima di demordere definitivamente.

         Luciana che non ha alcun problema, avvistato un paio d’alberi di ciliegie frutto di cui è particolarmente ghiotta, abbandona zaino e bastoni e si arrampica sul muretto per raggiungere con artigli appuntiti la frutta desiderata esattamente in mezzo alle case dove qualsiasi spagnolo incazzato può impallinarla a vista.        Io che non sarei in condizioni di difenderla la fotografo in azione  sperando nella protezione di Santiago.

         Scesa finalmente a terra proseguiamo ancora in salita e  raggiungiamo Foncebadon, caratteristico villaggio oggi abbandonato. Il recupero edilizio è avviato ma ci vorrà ancora tempo. Troviamo comunque un buon the, delle banane e altra frutta, una bella ragazza orientale che ci accoglie e un italiano interessante con il quale ci fermiamo una mezz’oretta a conversare. Un ex insegnante al quale la scuola stava troppo stretta convertito al teatro. Magro, capelli lunghi, faccia da bohemien, quaderno di appunti alla mano, gironzola scalzo e per un breve tratto ci accompagna. Ricorderemo questo posto come uno dei più suggestivi forse perché siamo in quota dove la vegetazione, l’odore dei pascoli,  il paesaggio montano ci fanno sentire più a nostro agio. Una bella fontana accoglie per l’ennesima volta i miei piedi oramai quasi a posto ma non so ancora se riuscirò ad arrivare indenne alla fine di questa bella giornata. Mancano pochi km alla Cruz de Fero, la cima Coppi del Cammino come viene definita, simbolo magico, custode dei sogni e dei sentimenti di qualche milione di pellegrini e l’emozione è particolarmente forte…anche perché all’amico Oriano ho fatto una promessa.

         E non so spiegarmi come ma a poche centinaia di metri dalla Cruz Luciana si accorge che il mio incedere è ritornato normale. L’uso dei bastoni non è più contemporaneo come da tre giorni a sta parte ma è ritornato ad essere alternato, normale. Mi ascolto stupita e convengo che è vero! Il male è sparito e non me ne sono neppure accorta. Ho il nodo alla gola anche per questa felicità che mi assale e che non so spiegarmi.       Alla Cruz ci lasciamo andare ai nostri sentimenti più intimi per ritrovarci dopo aver consumato un pacchettino di  salviette a testa. Il rito del sasso si compie anche per me mentre Luciana sistema un nastrino per il suo bimbo che l’aspetta a casa  e siamo felici.          Ritorniamo alla realtà, scambiamo due chiacchiere con l’uomo che ha appena realizzato la particolarissima meridiana a lato della Cruz e proseguiamo in discesa. Ci fermiamo a Manjarin dove la tienda  dell’Hospitalero Tomàs ci offre un po’ di riposo e il suo cane un po’ di compagnia. Tòmas non c’è e starà dormendo o bevendo in qualche malga nei dintorni. C’è molta povertà nell’insieme ma molto colore e allegria nell’arredo di questo strano posto. Peccato non ci sia nessuno. C’è invece, un po’ più in là, un toro che dal ciglio della strada lungo la quale stiamo camminando non mi molla. Mi osserva e mi segue. Luciana è dietro tranquilla e io mi sento la pancia in movimento perché ho la certezza che se ci succedesse qualcosa non ci sarebbe nessuno in grado di soccorrerci. E mi immagino già la scena di due corpi a brandelli ritrovati dopo molte ore nei pressi della Cruz de Fero lungo il Cammino di Santiago!

Devìo bruscamente a destra fuori strada dalla parte opposta della bestia e mi confondo tra i cespugli seguita da Luciana che mi conforta dicendomi di aver visto il filo elettrico lungo strada. Ma io sono ormai oltre la curva in salvo e non intendo andare a verificare. Mi raggiunge e ridiamo su questi dieci minuti infernali che ho vissuto.  

Molinaseca è a 10 km e sono le 17.00. A che ora arriviamo? Strada asfaltata in discesa che scende da 1500mt. Che facciamo? Autostop naturalmente.

L’unica macchina che passa in mezz’ora da Manjarin per nostra fortuna si blocca e ad accoglierci, un simpaticissimo giovane impiegato di banca che per evitare il traffico della strada di ritorno in fondo valle per raggiungere il suo paese nei pressi di Molinaseca ogni tanto sale la montagna e ridiscende sul versante opposto. Ottimo; una    divertente chiacchierata in spagnolo (lui) alpagoto-cadorino-zoldano-comelicano-italiano (io) con i sogghigni divertiti di Luciana posizionata come al solito dietro, ci fa sentire tra amici e ci conduce in breve a destinazione da un amico suo che di recente ha aperto un Albergue per i pellegrini. A lui ci consegna e ci saluta e noi ancora una volta siamo felici.


L’ambiente è ideale: nuovo, spazioso, pulito,ben attrezzato, accogliente. Il paese che visitiamo dopo esserci rimesse per quanto possibile a nuovo con una bella doccia, è davvero carino  Il centro storicoancora in via di ristrutturazione fa da contorno ad uno slargo del fiume intorno al quale qualche bell’ambientino ospita la gente del paese e i turisti che si fermano come noi volentieri a guardare i ragazzi che si tuffano in acqua dalle sponde e coloro che si godono l’ultimo sole della giornata. La cena è molto buona e la notte si preannuncia tranquilla …ma io mi addormento con una frase famosa che mi frulla in testa: non c’è due senza tre. Il cammino non è finito e che cosa mi aspetta ancora?
        

 

 

 

Giovedi 19 : MolinasecaPonferrada- Villafranca del Bierzo- da jesus                                                 

 

Eccolo qua il terzo problema: 
mi sveglio apro gli occhi e sento uno strano gonfiore sotto al destro! Noooo prendo lo specchio e mi guardo: noooo la borsa sotto all’occhio! Sospetto subito che si tratti dello stress residuo - anche questo - di un vecchio problema dermatologico. Mi preoccupo ma non più di tanto perché anche se dovesse espandersi so che questo non mi potrebbe fermare. Luciana oramai non fa più caso a quello che mi capita sicura che  il destino ci voglia a Santiago tra qualche giorno e rassegnata mi infilo un paio di occhiali per affrontare la colazione .

Oggi ci aspetta  Ponferrada  e il Castello dei Templari.

 Il cielo è grigio e non promette niente di buono e raggiungiamo la città in corriera per evitare il lungo tratto di asfalto e per guadagnare ancora qualche km.

Ci arriviamo alle 9.00 e la parte della città che attraversiamo in pullman è bella, grande e moderna; anche il centro storico dove domina il Castello è suggestiva ma il Castello è inaccessibile per restauro e la cattedrale apre tra un’ora. In giro a quest’ora non c’è nessuno. Deluse ci accontentiamo di bere un caffè e di scattare  qualche foto prima di risalire in corriera e proseguire verso le colline del Bierzo. Si scende dopo una decina di km in un paesino situato alla base della famosa zona di vigneti che attraversiamo interamente a piedi in un saliscendi continuo e spettacolare tra un mare di bellissimi filari di vite.

         La giornata si apre al sole e ci fa ritornare l’entusiasmo di camminare. Tra una vallata e l’altra attraversiamo borgate e paesi un po’ poveri ma pittoreschi. Ma tra i vigneti…sorpresa… anche ciliegi per la felicità della mia amica che si blocca come allucinata davanti a tanto ben di dio. Abbandonati ancora zaino e bastoncini si avventa sugli alberi lasciandoli spogli di frutti e quel che è peggio invitando una coppia di giovani a seguire il suo esempio. Con la pancia gonfia ridiamo  divertite e  un po’ esterrefatte dall’espressione seria con cui uno dei due pronuncia la fatidica frase “No grazie non veniamo, non sono nostre quelle ciliege” Che figura! Siamo proprio italiane.

Il mio occhio da boxer battuto non mi impedisce nulla ma mi infastidisce e se non si riassorbe un po’ dovrò correre ai ripari. Andiamo avanti con passo deciso e maciniamo km con l’entusiasmo iniziale e finalmente dalla sommità di una collina scorgiamo la mèta della giornata Villafranca del Bierzo. Tralasciamo il primo Albergue che troviamo a destra all’inizio della discesa che conduce al paesotto e ci lasciamo calamitare a sinistra, appena oltre la Puerta del Perdon, nel più sporco e più bell’ Albergue di tutto il Cammino. Non si può non lasciarsi trascinare dal regno di Jesus il gestore del Felix . Un insieme di costruzioni o meglio di baracche affiancate e sovrapposte dove si trovano le camerate e i servizi che fanno da contorno ad una zona comune centrale molto pittoresca e molto ricca di legno, di piccole sculture, di specchi, di attrezzi e di oggetti, bella nell’insieme. Anche la stanza dove si cena è piena di tutto e nell’insieme gradevole. Anche se a tenere insieme i pezzi sembra essere l’incrostazione del secolare deposito di polvere e di unto. La cucina dove sbirciamo dietro al banco è a dir poco ombrosa e nei servizi la carta igienica usata che non si può scaricare nel water, la si deve lasciare nel secchio senza coperchio a lato! E’ uno schifo … divertente!

         Perciò visto che funghi e allergie albergano facilmente nel mio corpo, decido di rinunciare per una sera alla doccia e di lavarmi meno che posso. Andiamo a dare un’occhiata alla vicina Chiesa della Porta del Perdòn e poi rientriamo         Perdiamo un po’ di tempo ad osservare i particolari, un po’ di libreria, le foto appese, i ritagli di  giornale che parlano delle doti sciamaniche di Jesus e la nostra curiosità cresce. La collaborazione per la gestione è affidata ad un paio di ragazze spagnole e ad un giovane sudamericano. Anche se a denti alti ceniamo per poi ci divertirci un sacco a scrivere una mail alla nostra collega Anna da una tastiera su cui è difficile riconoscere le lettere. Le cazzate che ci ispira questo posto ci fanno talmente sghignazzare che il giovane tedesco che siede vicino a noi, coinvolto nel nostro trascinante momento, non riesce più a leggere e ride  con noi senza capire un acca di quello che ci stiamo dicendo.

         Il ritiro in camerata per fortuna si svolge quasi al buio impedendoci di soffermare lo sguardo su particolari inquietanti come i cavi elettrici volanti, e il tetto di onduline e di travi messi là non si sa come. I dubbi sul rispetto delle norme di igiene e sicurezza lungo il percorso hanno avuto qui tutte le conferme!

   

Venerdi 20 : Villafranca del Bierzo - O Cebreiro-Triacastela  

        

        

La dormita comunque è tranquilla e ci alziamo tra gli ultimi come al solito. Davanti allo specchio ho un sussulto perché faccio fatica a riconoscermi: l’occhio si è trasformato in una fessura e devo cercare un medico per evitare che peggiori. Mentre chiediamo informazioni alla gestora appare finalmente lui, Jesus, il sommo governatore di questo posto: un assemblaggio tra Nato, Diego e Burrasca, noti personaggi di casa mia, sui quali  si può  sempre far affidamento perché in un momento di difficoltà sanno sempre come risolverti un problema.

         Jesus mi osserva l’occhio e con aria preoccupata mi indica la direzione del Centro Medico attrezzato anche per l’assistenza dei pellegrini. Sono le 8.00 e ci vado subito. Jesus ci avrebbe aspettato fino alle 10 per portarci verso O’Cebreiro.


         Il centro è medico è un ospedaletto che offre un buon servizio. Il personale è gentile e il medico molto determinato e sicuro.Mi guarda, capisce subito, dà disposizioni all’infermiera di spararmi un’iniezione di cortisone e mi dà tre pastiglie di antinfiammatorio. Gli chiedo se posso andare avanti e rassicurandomi mi indica la direzione per Santiago. Adelante!         Si riparte e so che da stasera il borsone si ridurrà per riacquistare le normali dimensioni di borsetta. Fa un freddo cane, la giornata è bella, diamo un’occhiata di passaggio al centro paese e torniamo al nostro Residence perché sono le 9.30 e Jesus ci aspetta. Ci aspetta? Dove sia di preciso non lo sa nessuno e alla nostra richiesta per sapere più o meno a che ora potrebbe tornare le ragazze ci rispondono che sicuramente verso mezzogiorno l’evento si sarebbe verificato. Rassegnate ci mettiamo comode al sole all’entrata dell’ Albergue a conversare con i passanti e ad osservare le espressioni dei pellegrini in arrivo dal Cammino.    Con un paio di reporter in transito scambiamo impressioni sull’organizzazione del Cammino.

        
E proprio loro a cui confidiamo le nostre perplessità sulla sicurezza e sull’igiene di certi ambienti di accoglienza ci informano che le proteste sono sempre frequenti. In  passato si sono diffuse infezioni e parassitosi che a tutt’oggi tengono lontani soprattutto i tedeschi (in effetti ci fanno osservare come in rapporto all’est europeo, agli asiatici, agli italiani e soprattutto ai francesi la presenza dei germanici sia scarsa).

         Per maggiori garanzie bisognerebbe cercare sempre gli Albergue nuovi ma sono ancora pochi. Con noi ad attendere Jesus anche una coppia di francesi in bici in difficoltà per un ginocchio dolorante della ragazza. Verso le 12.00 in effetti lui si presenta sporco, trafelato e agitato! Poiché siamo in quattro passeggeri con due bici cambia chòce, ci carica su e via. Io come al solito piazzata davanti col matto nel primo km non so se pregare o tenermi pronta per saltare fuori alla prima sbandata ma già dal secondo tornante mi tranquillizzo perché questo signore qua è proprio uno di quei personaggi che si svelano cammin facendo. Data l’ora ormai tarda si offre di portarci fin su a O Cebreiro strada che comunque deve fare per andare a vendere i suoi pomodori lungo la Valcarce. E tra una tentata vendita e l’altra risaliamo la bella valle verso il passo che ci porterà alle porte della Galizia, cantando  e ridendo con le barzellette che ci racconta ovviamente in spagnolo e conversando simpaticamente.   Riesco a capire che la sua guida spericolata e sicura su questa mulattiera asfaltata che stiamo percorrendo è frutto dell’esperienza di camionista che peraltro ha fatto in centro Italia tra Milano e il sud; che ha una figlia laureata in storia dell’arte responsabile di un importante dipartimento culturale spagnolo, che i romani - i vecchi e gloriosi romani- per la conquista delle miniere d’oro della Valcarce hanno combattuto a lungo con le popolazioni locali che decise com’erano a non mollare riuscirono persino a respingerli ( ma avrò capito bene?).  Annuendo con espressione sorpresa tento una via di fuga dal discorso e ci riesco fino alla prossima tentata vendita.

         I pellegrini che risalgono la valle lungo sono numerosi e le borgate che attraversiamo sono davvero pittoresche così immerse nel verde e nella semplicità. I pochi abitanti sono tutti sulla strada a conversare tra loro al sole e ad offrire la loro ospitalità nelle piccole tiende e case private ai pellegrini; e per dir la verità ci spiace un po’ non fare a piedi quel tratto, forse uno dei più belli del percorso. Ma con questo matto ci divertiamo troppo e la strada è ancora lunga. Verso le 13.30 con brusca sterzata e stoppata in un cortiletto ci fa che è ora di scendere e in effetti ci siamo.

         O’Cebreiro è davvero un gioiellino: un punto panoramico di eccezionale bellezza sullo spartiacque tra Castiglia e Galizia. Viviamo quassù l’emozione che i pellegrini vivono davanti al cippo di confine che si trova sul percorso. Le antiche “pollozas” case in pietra a pianta circolare con il tetto in paglia a forma di cono che servivano da ricovero animali e da abitazione, trasformate in ristorantini e negozietti danno l’idea dello sfruttamento turistico già in atto da tempo. De resto un punto strategico così lungo il Camino de Santiago non può certo rimanere immune dalla trasformazione.

Da quassù la sensazione di aver fatto tanta strada è pungente come il profumo di Santiago che ormai si avverte, anche se manca ancora un centinaio di km. Per salutare e ringraziare il nostro amico ci infiliamo con lui in un ristorantino dove – dopo aver bevuto un aperitivo - finalmente io e Luciana ci gustiamo il piatto forte di questa bella terra: il pulpo galego!

         Buono da impazzire!! Il pranzetto non poteva che essere accompagnato da un ottimo vino e completato con un dolce castigliano fantastico. Jesus è ormai lontano, i due ragazzi sono ripartiti in discesa e noi dopo qualche foto e un po’ di shopping ci avviamo lungo la discesa per Triacastela.

         Una lunga strada che discende lentamente e che passa davanti ad un grande S.Rocco in bronzo che guarda lontano dai 1270 mt di quota, e il nostro incedere veloce tra asfalto e sterrato attraverso in un bel paesaggio dalle caratteristiche prealpine nostrane A Triacastela arriviamo piuttosto stanche verso le 19.00 e rischiamo di non trovare posto. In uno degli Ostelli nei quali cerchiamo affannosamente informazioni per la notte ritroviamo Sergio il bresciano in bicicletta conosciuto nei primi giorni. Dobbiamo cercare di arrivare prima perché in questo ultimo tratto del Cammino la presenza di pellegrini sta infatti aumentando.          E non c’è da meravigliarsi perchè i giorni che ci distanziano dalla meta sono solo tre e il 25 si celebra la festa patronale galiziana dedicata proprio a Santiago. Per nostra fortuna occupiamo le ultime due brande in un decoroso Albergue e dopo la doccia e una cenetta in un ristorante vicino, a nanna.

 

 

Sabato 21: Triacastela- Samos -Sarria– Portomarin

 

Guardo dalla finestra e non vedo nulla !

         La nebbia noooo…come si fa a mettersi in marcia alle 7.30 del mattino, col freddo e l’umidità che ti penetrano?

Ci vien male, ma sappiamo che una volta fuori con lo zaino in spalla e i bastoni in mano tutto cambia. Il desayuno ci rinvigorisce e ci rimettiamo fiduciose in marcia. Se la Galizia è tutta così merita ritornarci perché la soddisfazione di camminare in questi posti a testa completamente libera è straordinaria. In un saliscendi straordinario ad un certo punto ci appare il Monastero di Samos una fantastica costruzione medievale che raggiungiamo e che visitiamo con una brava guida. 

E a Samos rimasta senza soldi tento di prelevare da un bancomat che non ne vuol sapere. Mo che faccio? Che sarà successo? I soldi li avrà prelevati qualcun altro o sono ancora dentro?

         Non riuscendo ad avere certezze telefoniamo a casa, io a Franz che me ne dice otto e che telefona in banca a Tambre per verificare che non ci sia stata una fuga di capitali all’estero e  Luciana alla sua amica che lavora in banca e che si informerà sulla nostra situazione. Le telefonate mi tranquillizzano un po’ ma solo un po’, perché il deniero comincia a mancare ad entrambe. Intanto spende Luciana e andiamo avanti per una decina di km  ma l’asfalto non ci piace proprio e con un altro colpo di autostop raggiungiamo Portomarin dove sulle rive del lago ci accoglie un Albergue enorme e nuovo con tutte le comodità. Ad accoglierci nella grande camerata ancora Sergio che strabiliato ci guarda e ci dice “Ma io non capisco come fate ad arrivare con me se io sono in bicicletta e voi a piedi” e ridiamo insieme quando gli confessiamo il nostro trucco. Dalla sua branda ci saluta divertito anche il ragazzo tedesco che abbiamo fatto tanto ridere da Jesus e intravvediamo tra le brande di  questo transatlantico altri pellegrini già incontrati qua e là.

         Il paese è bello, pulito, attrezzato e ceniamo bene come al solito in un’osteria del centro. Il bancomat per fortuna funziona ma per la paura prelevo poco e domani sarò ancora punto e a capo. Riflettiamo sul fatto che da qualche giorno l’atmosfera si sta lentamente trasformando. Via via che si procede il tipo di gente che troviamo è diverso: famigliole con bambini anche piccoli, compagnie di giovani, gruppi di adulti dall’aspetto di gitanti della domenica più che di pellegrini. Servizi e ospitalità impostata molto di più sul commerciale e sulla quantità, ma anche sulla qualità. Ma l’espressione è un po’ più turistica e frettolosa in tutti. Lo stimolo di comunicare con gli altri lascia spazio alla tensione di arrivare alla fine e si va a testa bassa coscienti che si sta per concludere.

Siamo d’accordo che a parte lo splendido paesaggio il vero Cammino è quello lasciato dietro, sull’altro versante di O Cebreiro.

 

 

             

 

  Domenica 22 : Portomarin – Palas de Rei- Melide     

 

        
Lasciamo Portomarin ancora immerso nella nebbia e ci alziamo in quota camminando in un bellissimo e dolce ambiente naturale dove prati e boschi si alternano rendendoci leggero lo sforzo. Dopo 24 km raggiungiamo Palas de Rei situato in un’altopiano dove strutture sportive e recettive di recente costruzione testimoniano una presenza turistica notevole.  Il tempo si sta però guastando e la mantella che abbiamo già messo addosso è fradicia. Un the caldo per decidere che fare, per incamminarci e per mettere fuori il ditone grazie al quale in poco tempo raggiungiamo la cittadina di Melide. Una città piuttosto brutta desolata e desolante.



        Non c’è posto da nessuna parte, perchè con il tempo brutto il popolo dei viandanti si è accaparrato in fretta un posto in branda.

Ci indirizzano in un albergo in periferia e lì andiamo insieme ad un’altra peregrina francese che non sapendo dove sbattere la testa chiede di aggregarsi . L’albergo privato indicatoci - il Sony - è senza dubbio la peggior sistemazione che abbiamo trovato, e l’unica giustificazione per essere finite in un tugurio simile è che la pioggia ci ha impedito di cercare qualcosa di più dignitoso. Che squallore!          Ceniamo malissimo e sfioriamo il litigio con il gestore che considerando un insulto la nostra richiesta di chiarimenti sul conto ci sottolinea il fatto di non essere italiano. Stronzo! Per fortuna la signora che invece il suo mestiere lo sa fare, riesce a riportare la calma e pagata in anticipo anche la notte, ci immergiamo nella puzza di aromatico stantio che infesta la camera situata tre piani sotto terra, insieme alla francese che già dorme.

 

 

 

 

 

 

  Lunedì 23: Melide  Monte del Gozo  

 

         Piove ancora quando saliamo in corriera con la voglia di dimenticare questo posto infame; ma  qualche km più in là ad Alto de S.Irene il cielo si apre e decidiamo di scendere per affrontare l’ultimo tratto a piedi, gli ultimi 23 km. Che emozione sapere che là dietro alle colline da qualche parte, ma comunque vicino, c’è Santiago de Compostela. Ci immergiamo ben presto tra la pioggerellina e il sole che finalmente ritorna a splendere, in una foresta di eucalipti che l’evaporazione contribuisce a profumare ancora più intensamente e siamo felici. Sapendo che la Galizia è attraversata dal fiumeTambre fotografo il cartello che indica la delimitazione dell’area rivierasca del Tambre ripromettendomi di approfondire una volta a casa questa omonimia (ma quando mai!!).

Lasciati gli eucalipti ci ritroviamo nuovamente su un tratto di asfalto con la minaccia di una nuova perturbazione in fase di preoccupante avvicinamento. Il vento è davvero fastidioso e siccome siamo nei pressi dell’aereoporto decidiamo di entrarci per prelevare soldi e per informarci sulla possibilità di rientrare a Saragozza in aereo. Un bagno di folla, un’oretta nel bell’aereoporto per rifocillarci, per vedere un po’ di lustrini, e per capire che non c’è alternativa per il ritorno : dobbiamo rassegnarci alle 12 ore di pullman per Saragozza e alle altre 12 ore di attesa per risalire sull’aereo per Bergamo. La bufera nel frattempo si è allontanata e noi riprendiamo il Cammino.

         In breve raggiungiamo El Gozo una mega struttura comunale di accoglienza posta su una collina a 5 km da Santiago dove verso le 16.00 c’è una lunga fila di attesa. Tanta gioventù da tutto il mondo a piedi e in bicicletta e temiamo di rimanere escluse ma anche stavolta il tipo che ci accoglie ci offre una sistemazione ideale nel padiglione inaugurato da poco che profuma ancora di nuovo. Una camera a otto letti e servizi igienici ben tenuti ci fanno stare bene in questa comunità capace di accogliere un migliaio di persone. E’ enorme: non mancano gli spazi comuni con mega bar, ristorante, sala convegni e discoteca e altro.

         Alle 18.00 emozionate scendiamo dall’autobus in centro Santiago e dopo dieci minuti, emozionantissime, siamo nella piazza dell’Obradorio, davanti alla Cattedrale!! Dio che bello. Grazie di tutto perché ci siamo. La città è piena di gente e di gioventù dall’espressione tranquilla e felice e il desiderio di assistere alla S.Messa nella magnifica Cattedrale sorge spontaneo. In attesa che la messa solenne abbia inizio camminiamo in silenzio osservandoci reciprocamente ogni tanto… tra lacrime di gioia. A celebrare la messa il Vescovo di Santiago che dedica l’Omelia al Pellegrino. Lo spagnolo schietto e lento favorisce la comprensione di quello che dice e ci sentiamo ancora più orgogliose e protagoniste, insieme a centinaia di altri che come noi provengono da lontano, di un grande momento.

         Usciamo dalla Cattedrale leggere e leggiadre e andiamo a per le vie della città a divertirci, lasciandoci catturare da un bel locale pieno di gente che ci delizia con un’offerta gastronomica ottima e servita molto bene, trascorriamo un paio d’ore felici prima di rientrare con l’autobus al Gozo dove la notte trascorre serena.       

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  Martedì 24 : Monte del Gozo – Santiago             

 

         Il desajuno al bar del centro (per me doppio data la fame) mi prepara nel modo migliore per la visita della città. Santiago è coccola, non è tanto grande, un po’ in degrado nella periferia, curata nel centro storico. Il businnes imperversa nella miriade di botteghe e bottegucce che offrono le stesse identiche cose allo stesso identico prezzo ovunque.

         Ritiriamo il nostro sudato certificato di Pellegrine dopo aver impresso l’ultimo cugno sulla credenziale e ci addentriamo nei vicoli convinte di riuscire a comprare tutto quello che avevamo pensato di regalare ai nostri, ma la delusione e la preoccupazione è tanta quando per la seconda volta i bancomat si rifiutano di darci “schèì”.       Tra l’altro con la festa del Patrono uffici e personale a metà mattina sono già in fase di chiusura Al telefono ci viene comunicato che avendo superato con i prelievi dei giorni scorsi il tetto massimo previsto di soldi non ne possiamo più prelevare e allora via con gli accordi per aumentare la quota. Nel frattempo solo spese essenziali altrimenti no se magna. Di dormire in città per assistere ai fuochi e partecipare alla festa notturna non se ne parla proprio perché quello che abbiamo ci basta si e no per cenare stasera.  Ai giardini nel pomeriggio riposiamo al sole, ascoltando musica, andiamo per negozi e salutiamo qualche pellegrino conosciuto per strada. C’è un sacco di gente da tutto il mondo e la piazza si sta riempiendo per la notte.          Assistiamo ancora alla Messa solenne delle 19.00 nella speranza di veder oscillare sopra le nostre teste di peccatrici incallite tra le navate laterali il famoso ostensorio ma niente da fare: è lì immobile perché, abbiamo saputo il giorno dopo- nessuno ha pagato la quota prevista. Chissà se Santiago è d’accordo con questa beffa. Ceniamo ancora nello stesso posto della sera prima perché è troppo bello e troppo buono e …costa poco. E poi in autobus rientriamo a goderci i fuochi e la festa della piazza da una piccola tv della Hall del Gozo!! Che rabbia sta faccenda dei soldi ci ha fatto perder un po’ le staffe. Siamo ancora qua e non là…a 5 km da una storica fiesta…la festa del patrono della Galizia…Santiago…notte.     

 

 

Mercoledì 25: Santiago – Saragozza

 

         L’amica “banchiera” di Luciana ci informa che il prelievo si può fare e la gioia per la riconquista della disponibilità finanziaria dallo sportello dell’ufficio informazioni del Gozo è così intensa che …. mi dimentico di recuperare la tessera! Ma il bello è che me ne sono accorta a solo Bergamo quando con un altro prelievo avrei dovuto pagare il biglietto del treno. Salutiamo El Gozo dedicando la mattinata alle spesuzze e alla piazza ancora gremita di folla in attesa dell’uscita di tutto il governo politico e religioso dalla S.Messa che si trasferisce in gran parata nel palazzo del Governo di fronte alla cattedrale e alle 12.30 saliamo sul pullman che ci ospiterà per 12 ore fino a Saragozza dove arriveremo alle 24.30! Avremo così il piacere di vivere nella nuovissima, enorme stazione dei treni, appena addocchiata all’arrivo, per ben sei sei ore. In pullman con somma rassegnazione cerchiamo di occupare il tempo nel migliore dei modi: guardando dal finestrino, commentando, scrivendo, riflettendo e..dormendo.

         A Saragozza ci siamo alle 24.30, come previsto  

 

 

 

 

    

 

 

 

 

 

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  Giovedì 26 : Saragozza - Italia  

 

 

E sono ore eterne trascorse su una sedia scomoda che non lascia alcuna possibilità di rilassarsi.

Distendersi è vietato ma Luciana incurante dell’ammonimento del guardiano decide di tentare la mimetizzazione tra la parete e il distributore di coca cola mentre io che non trovo pace da nessuna parte rimango praticamente con l’occhio vigile per tutta la notte.

         Alle sette finalmente apre il bar e una cameriera incazzata nera col mondo ci piazza davanti un caffè rifiutandosi di capire che volevamo un capuccino. Alle 14.00 ci aspetta l’aereo e sono appena le 6.30 di una splendida e  tiepida mattina.

        Il peso dello zaino in queste poche ore è lievitato a 50 kg e chiedendoci come mai nonostante la spossatezza ci ritroviamo a camminare ancora dalla periferia verso il centro ci rispondiamo che il rischio di addormentarsi su qualche panchina è meglio combatterlo con l’azione.

         Saragozza è proprio bella: lapiazza del Pilar dedicata a Goya è uno “spectacular exemplo” di armonia architettonica e urbanistica tra vecchio e nuovo, come pure la panoramicasul fiume Ebro. Bello ed elegante anche il centro storico della città che attraversiamo non senza entrare in diversi negozi per la curiosità di confrontare qualità e prezzi, ma soprattutto con la necessità di tenere alta la guardia.       Trovare il posto giusto da cui parte l’autobus per l’aereoporto non è stato così semplice perché come a Belorado, la risposta non è mai precisa, ma siamo riuscite a salire su quello giusto anche stavolta un attimo prima che partisse.

         Il peso dello zaino ha raggiunto i 90 e le ginocchia si piegano quando scendiamo in quell’aeroporto piccolo e misero, nel quale il bar è più una bettola che un aeroporto internazionale.

         E’strano come tra i Pirenei e laGalizia si passi da un estremo all’altro, da situazioni avanguardistiche a situazioni da terzo mondo! Un grande pannello appeso al muro preannuncia comunque il prossimo ampliamento e adeguamento dell’intera area aeroportuale. Ma aspettando l’avvio dei lavori potrebbero almeno raccogliere i rifiuti davanti al banco del bar e pulire i vetri accidenti!!  

Il rientro a Bergamo è tranquillo. Non così da Bergamo a casa perché correndo siamo riuscite a prendere l’ultimo treno per Milano e solo pagando una multa in treno siamo riuscite a salire sull’ultimo per Venezia dove siamo arrivate all’1.00. Per 1 minuto nonostante la corsa perdiamo l’ultimo treno per Conegliano e restiamo lì impalate ma non certo rassegnate a trascorrere un’altra notte in stazione. Veniamo a sapere che il Romulus per Vienna parte di lì a poco ma anche che a Conegliano “normalmente” non ferma. Quel normalmente ci fa pensare che eccezionalmente sia possibile che si fermi ed è con questaconvinzione che stressiamo talmente un controllore da riuscire a convincere il suo capostazione a fare un’eccezione per noi.    Venti minuti di telefonate tra lui e la direzione e alle 3.00 di notte siamo a Conegliano dove aspettiamo l’amore mio che, chiusa l’enoteca, ci recupera e ci porta a casa.

  Complessivamente in 13 giorni abbiamo camminato per circa 360 km , con una media di 27 km giornalieri. Il resto, in pullman e soprattutto in autostop.

         La decisione di scegliere questa soluzione è stata positiva perché ci ha consentito comunque di conoscere  tutto il Cammino attraverso le informazioni e i commenti dei nostri compagni di viaggio. E se proprio proprio sentissimo il desiderio di percorrerlo tutto a piedi  per   approfondire la conoscenza di diversi aspetti tralasciati (artistici, naturalistici, culturali ecc)  ma sicuramente meritevoli adesso sapremmo cosa fare e dove andare.

                    

 

 

 

Anche a mesi di distanza i ricordi sono vivissimi.

Segno che l’emozione ha impresso a fuoco  nella memoria immagini e sensazioni. Con il tempo probabilmente i contorni e i particolari di date,

luoghi e persone sfumeranno;

ma sono sicura che la sensazione provata lungo tutto il percorso

di essere stata sospinta in avanti, in una specie di tunnel che una volta intrapreso non puoi più abbandonare, sarà l’ultima a lasciarmi.

 Sul Cammino questa sensazione trasmessa dalle ossessionanti frecce gialle,

 dalla gente che appena ti vede titubante ti indica la direzione,

dalle persone del posto che spesso ti accompagnano per un po’

 e vogliono sapere chi sei,

dal mondo che incontri sul Cammino

e che ti parla anche solo con la sua presenza e con gli occhi, ti accompagna sempre e nei momenti difficili diventa determinante per proseguire.

Ed è talmente piacevole che sogni di riviverla; perché non c’è nulla di più bello che sentirsi completamente liberi di scegliere ma indirizzati e sospinti discretamente verso la mèta che vuoi raggiungere.